il patto
strappo

Vista da fuori questa foto non
sembra proprio una ἀγορά, luogo dove gli antichi greci
discutevano anche delle proprie leggi.
Ma molte cose, viste da fuori,
sembrano differenti… come quella frase che inizia a far scaldare i muscoli dei
partecipanti: “tu vai all’asilo con il
sorriso, io vengo a prenderti prima dell’ora della fine”. Certo, importano
le qualità personali dei contraenti… ma se io non conoscessi Caterina e le sue
amorevoli preoccupazioni, e se Federico di contro non riconoscesse la voce
della sua mamma, questo patto potrebbe avere il suono del ricatto.
Ma sono altre le frasi che sento
e con le quali non mi trovo pienamente d’accordo: penso, per esempio, che ci
sono stati periodi della mia vita nei quali ho visto molti criminali tenere
fede ai propri patti (e rimanere in silenzio in carcere pur di non fare gli
infami) mentre persone libere, e neppure indagate, non mantenevano la parola
data.
Eppure è proprio un detenuto, ad
un certo punto, ad affermare che “la
società non può rompere il patto con il singolo, mentre il singolo magari sì”.
E Gabriele che, impigliato nella sua deliziosa contraddizione tra essere stato
schiavo di un patto con la malavita che lo ha portato ad uccidere i suoi simili
ed essere ora liberamente legato ad un patto con la società civile, per uscirne
cita Gaber e la libertà come partecipazione.
E a me intanto, mentre non riesco
a non pensare a tutte le prede abbindolate dal meraviglioso patto con il
truffatore, viene in mente l’ennesima sua canzone (“La parola io”) e quella
frase che ne chiude un’altra qui ancora più pertinente: “sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi”…
perché forse la prova del 9 per verificare se siamo davvero di fronte ad un
patto si ha andando ad analizzarne il risultato: “io+io=io” oppure “io+io=noi”
come un qualcosa che non solo punta verso il futuro ma anche include (e non
esclude ed elimina, fisicamente o moralmente) altre persone. E con esse altre
idee e percorsi, aumentandone la fatica.
La fatica delle cose che fanno
pensare e crescere, come quella domanda fatta da Aparo – poco prima
dell’incontro, a microfoni spenti - ad un bambino di 4 anni al quale era stato
insegnato a rispondere “tutto bene”
quando gli si chiede “come va?”… fino
a quando arriva qualcuno che vuole davvero il suo bene e, portandolo sul suo
campo da gioco, gli fa dire “beh…
qualcosa non va bene: vorrei che papà tornasse a casa” e poi però non lo
lascia solo con dei cubetti colorati in mano, anche se come una ostetrica
lo ha aiutato a partorire una verità che già possedeva dentro di sé.
Adesso, nonostante abbia letto
Platone, riesco a capire meglio anche questo, come quando – pur essendo
comodamente seduto a godermi l’incredibile spettacolo di questa improvvisata
piazza – mi alzo di scatto quando vedo Cecilia che sta per svegliarsi mentre
sua mamma è impegnata al telefono: e cerco di muovere a ritmo la sua
carrozzina.
Perché è vero che quando diventi padre
stipuli un patto con tuo figlio, ma guardi tutti i bambini come se fossero il
tuo.
Ed è altrettanto vero che quando
sei un bravo allenatore, le persone possono anche darti del Lei ma ti vogliono
bene come il padre che molto spesso non hanno mai avuto per davvero o al quale
hanno potuto solo dire, separati da un vetro, “quando sono grande io vengo da te” (aspettando 8 anni per mantenere
fede a questo patto).
O come la madre che li ha
finalmente allattati e si è così presa
cura di loro, perché in questo – al di là della battuta del mio amico Juri
- è stata per molti la meraviglia di aver constatato che “esistono magistrati
con le tette”.
Milano,
giardino della cooperativa La
Cordata di via San Vittore - 28 settembre 2013
[foto
e racconto di Francesco Cajani, dopo l’incontro tra il Gruppo della
Trasgressione e un Gruppo di cittadini liberi tenutosi nell’ambito della
manifestazione “I
frutti del carcere”]